VANITY DARK QUEEN – Niobe Regina di Tebe

Ultimo appuntamento per la trilogia di Stefano Napoli al Teatro degli Eroi. La compagnia Colori Proibiti – per celebrare i 40 anni di attività – in questa stagione invernale, sta portando in scena la trilogia ideata dal fondatore della compagnia: il regista Stefano Napoli. Dopo “CIRCUS DARK QUEEN ricordando Antonio e Cleopatra” E “BEAUTY DARK QUEEN – Lo strano caso di Elena di Troia”, chiude la trilogia “VANITY DARK QUEEN – Niobe Regina di Tebe” (mercoledì 27 novembre ore 20.30). Un percorso importante quello delle tre regine, frutto del potente potere creativo di Stefano Napoli, che lavora su un linguaggio che mescola il figurato, l’astratto e il sonoro. La terza ‘dark queen’ di Stefano Napoli, “VANITY DARK QUEEN – Niobe regina di Tebe”, vede protagonisti Paolo Bielli, Francesca Borromeo, Alessandro Bravo, Paolo Di Caprio, Simona Palmiero, Luigi Paolo Patano. Niobe, l’antica regina di vanità, che volle farsi felice – anche per il numero dei suoi figli -contro l’antica saggezza per cui solo gli dei potevano dirsi felici. “Cose umane agli umani”, ovvero accetta l’incostanza della sorte e impara il limite. Niobe, ribelle al pari di Prometeo, trasformata in roccia di lacrime, Niobe segnava il confine da non superare. Nel tempo la sua immagine trascolora fino a diventare, con i suoi figli, decorativo elemento di giardini e fontane. Cosa può dirci ancora questa mater dolorosa? Forse in lei, come in un prisma, possiamo vedere riflessi il nostro orgoglio, la nostra fragilità, la nostra paura.

NOTE DI REGIA
Visito per caso la Galleria degli Uffizi a Firenze e vedo la stanza dei Niobidi. Sono i figli di Niobe colti nell’ attimo dello strazio della morte. Le frecce di Apollo e Artemide sono mortifere, non lasciano scampo. Mi scopro a pensare che la bellezza per i Greci era un argine al dolore e alla morte. Questi inevitabili sì, ma qualcosa poteva durare più dell’effimera vita: la bellezza appunto e il ricordo. Qualcuno scatta foto e poco più in là un ragazzo sta facendo uno schizzo. Niobe è la madre. Punita dagli dei per aver osato gridare la sua felicità di madre sazia di figli, quando solo gli dei, e non i mortali, possono dirsi felici. Mi coinvolge di Niobe il suo essere una ribelle, una creatura di frontiera, al limite tra due mondi, quello divino e quello umano. Nell’antichità il mito di Niobe doveva essere un monito, ma io non sono alla ricerca di cause, colpe, delitti. Voglio solo guardarla. La sua è una storia d’amore, vanità, invidia, perdita, resistenza. Così ho spiato Niobe sull’orlo dell’abisso e nel suo dolore. Spero che non me ne voglia. Mi sono fatto influenzare dalle trasformazioni dell’immagine di Niobe da ribelle a mater dolorosa e regina del lutto e poi, con i suoi figli, a elemento decorativo di fontane e giardini. Ho ammirato la sua leggerezza e la sua durezza, la sua voglia di vivere nonostante tutto. E naturalmente ho letto anche Ovidio e Igino.
1.Senza vederlo, sfioravo l’abisso. 2.Intervallo 3.Vanità. Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame… 4.Niobe, i figli, Latona: il dolore entrava nella stanza 5.Canta Zizi Jeanmaire e io sono quella con il boa 6.Vendetta.Ovvero come Latona si vendica. 7.Guardate come muoio bene 8.Raccolgo frammenti, custodisco ricordi 9.La morte e la fanciulla 10.Il mondo è una tomba 11.Sequenza del lutto 12.Fuggire via, su una zattera 13.Spiaggia da sogno. Sogno della spiaggia 14.Piume e pietra, c’est la vie messieurs-dames 15.Ricordi laceranti, fantasmi 16.Guardate,sono una regina comunque 17.Le mie lacrime 18.Ma,da qualche parte, in un giorno di sole ci incontreremo ancora.

Stefano Napoli

Le cifre stilistiche del teatro di Stefano Napoli sono tutte presenti e vivide in queste opere: esiliata la parola ai confini del significante, il linguaggio è interamente assegnato al gesto, agli attori, alle luci e alla musica. Questi elementi sono qui la pulsazione vitale dello spettacolo. Gli attori stessi si spogliano a tal punto della loro identità umana da essere percepiti, nella loro integrità, come personaggi che intrecciano le corporeità costruendo di scena in scena delle vere e proprie tele, dando prova di un’abilità fisica e artistica. Un drappo, una benda, una sedia, oggetti minimali e solitari, bastano a far da scenografia interattiva, continuamente maneggiati, indossati, spostati a creare un paradossale dinamismo. Da quarant’anni Stefano Napoli, con la Compagnia Colori proibiti da lui fondata, sonda le pieghe più cupe dell’animo umano e dell’esistenza dando ad esse forme visibili, implacabilmente suggestive. Spesso la mitologia è stata sua fonte di ispirazione (si pensi a Ifigenia, o a Icaro, solo per citarne alcuni), secondo uno schema creativo che dalla leggenda conduce alla realtà, invertendo il percorso antropologico che si sviluppa in senso propriamente opposto. Regista colto e originale, Stefano Napoli, insieme alla sua compagnia Colori Proibiti, da anni porta avanti un rigoroso percorso di sperimentazione, fondato sul linguaggio del corpo. Un teatro che cerca la parentela con l’arte figurativa, nel quale i corpi degli attori, quasi sempre muti, si esprimono in quadri plastici di forte emozione che, accompagnati da un impianto sonoro variamente evocativo, sollecitano la memoria visiva dello spettatore. Sempre.

Pubblicato da redazione